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Al confine con la fertile pianura italiana di Romagna, nei luoghi in cui cominciano le colline e i monti dell’Appennino si scopre la valle del fiume Lamone sgorgato fra i castagneti di una terra romagnola dal cuore fiorentino. È una regione dell’Italia che non esiste per lo Stato Italiano ma che c’è. Si tratta della Romagna di Toscana.
Un territorio con una storia complessa che da fondo valle si inerpica nei colli di Brisighella uno dei più bei borghi dell’Italia fino a raggiungere lo spartiacque naturale del crinale dell’Appennino. È un territorio di colline marnose che sconfinano nell’alto Mugello, quello a nord di Firenze che i Medici vollero proteggere come terra propria. Il dialetto è sempre stato romagnolo; era la lingua della gente del posto. È la valle percorsa da Dante Alighieri per terminare le sue peregrinazioni a Ravenna, dove trovò asilo presso la corte di Guido Novello da Polenta.
Sono territori di confine dell’Italia centrale raggruppati tutti nella Diocesi di Faenza dalla Santa Sede. Sono i luoghi di San Pier Damiano, grande riformatore e moralizzatore della Chiesa del suo tempo, sepolto nel duomo di Faenza, che nel punto più alto e nascosto dell’Appennino, ai piedi del monte Gamogna, costruì il suo primo eremo.
Terra di clero, di monaci e di contrabbando. Addossato a una rupe gessosa è sovrastato da tre scogli di selenite sui quali si ergono la Rocca Veneziana, la Torre dell'Orologio e il Santuario del Monticino c’è Brisighella. Il suo comune ha visto nascere ben otto cardinali di Santa Romana Chiesa. Il medioevo è ancora sotto la rocca: luogo raggiungibile a piedi, dalla via degli Asini, percorrendo un breve stradello che rasenta le case addossate alla rupe, per arrivare fino al portone di ingresso del fortilizio, aperto in un giardinetto a picco sopra i tetti dell’antico Borgo. Un percorso nei camminamenti di ronda di un villaggio romagnolo dominato nel XVI secolo il castello dei “brisighelli” armigeri fedeli della Serenissima Repubblica di Venezia.
È zona di ulivi, i primi ulivi a nord ovest del versante Adriatico. La valle è ampia e suggestiva splendida in primavera con peschi e mandorli in fiore tra il verde degli uliveti che ti accompagnano fino ai colori d’autunno delle foglie delle viti e dei castagni. È la valle della “Nostrana di Brisighella” una oliva da cui si spreme un olio da un sapore inconfondibile. Il Sangiovese è di casa e va bevuto novello mentre si assaggiano le caldarroste del “Marron buono” di Marradi un antico paese di montagna sviluppatosi attorno a un cinquecentesco convento di clausura delle Suore Domenicane Contemplative che sta nel versante adriatico dell’Appennino a una ottantina di chilometri dal mare.
È un itinerario di fede e di piaceri materiali, un "Taste" che non si limita alle ricchezze enogastronomiche per estendersi a un'accezione più ampia riferita al "gusto del viaggio" come valore assoluto. Tutto comincia a Pieve di Tho con quel frantoio trovato durante gli scavi lungo le mura dell’antica pieve dedicata a San Giovanni Battista. L'antica "Chiesa Madre” è il più antico sito di culto cristiano esistente nella Valle del Lamone: fu definita la pieve di San Giovanni in Ottavo perché collocata all'ottavo miglio della strada romana.
Le sue origini sono assai remote e l'epoca della sua costruzione è ignota. Probabilmente sorse fra l'VIII e X secolo e fu edificata oltre un chilometro da Brisighella nel luogo in cui la via romana da Faenza, attraversava il fiume Lamone e conduceva in Toscana. Scriverà Antonio Metelli (1807/1877) "... dove appena cominciano a spuntare le collinette, e a far riparo coi loro dorsi ai venti, che spirano da tramontana, ivi vedesi verdeggiare le perpetue foglie d'ulivo, raro d'apprima, poi cresciuto in numero e unito alle vigne, spargersi insieme con esse lungo la sinistra giogaja, che volge a mezzodì tanto che per lo spazio che la medesima come da Fognano fino a Brisighella, quelli cò rami, queste cò tralci quasi tutte l'adombrano. Le ulive, che quivi particolarmente si raccolgono, e nei concavi seni della valle dove fa un'aria tepida e benigna, non sogliono per l'ordinario ascendere ad eguale quantità, essendo il mignolare dell'ulivo, anziché stabile, alternativo, ma i frutti sono sempre cosi perfetti che ne stilla da essi un olio finissimo...".
Qui, a poco più di due chilometri dalla Pieve andando verso Firenze, sulla riva sinistra del fiume Lamone si trovano gli ulivi di Monte del Canneto antico possedimento del Monastero delle Suore Domenicane in Fognano eredi della cucina tradizionale delle monache a base di prodotti del loro orto. Il luogo è magico. Da scoprire come è da scoprire una diversa prospettiva dell’abitato di Fognano. Va visto dalla riva destra del fiume dalla “quercia di Ghiozzano”: una delle roverelle più antiche e maestose dell’Emilia Romagna conservata nell’aia di un vecchio podere. Di certo la più grande quercia della Valle del Lamone. I centenari ulivi di Monte Canneto, nati in un oasi climatica sulla collina che sta dall’altra parte del fiume, sono stati riscoperti nel 2011 da Enrico Gurioli – giornalista e scrittore di mare – il quale ha ribattezzato il luogo come “La Pace di Monte Canneto” con l’intento di trasformarlo in un luogo della poesia intesa dal greco ποίησις, poiesis, attribuendogli il significato di "creazione". Si tratta di un intero fronte di circa cinque ettari coltivato a sesti di ulivo, vigneto e piante officinali dove ogni giorno Enrico Gurioli sperimenta prodotti agroalimentari e iniziative culturali originate dalla consapevolezza di rispettare il terreno e il territorio mescolando arte e cultura, enogastronomia e sapienza popolare, con la convinzione che ciò serva per accogliere tutta la vita ulteriore che è contenuta nella magia del posto.
Fuori dai codici della economia rurale, distante dai manuali sulla gestione dell’impresa agricola, lontano dal mondo del marketing aziendale, ciò che si produce ne La Pace di Monte Canneto rientra nelle opportunità offerte soltanto per l’arricchimento della conoscenza. Soprattutto interpersonale.
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A cura di Enrico Gurioli
Sono in prestito al mondo rurale per merito della Dea Fortuna.
Da giornalista scrittore a contadino. Dalla penna alla zappa.
E questo, per me, si sta rivelando un grande insegnamento.
A cura di Enrico Gurioli
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