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Sono in prestito al mondo rurale per merito della Dea Fortuna. Da giornalista scrittore a contadino. Dalla penna alla zappa. E questo, per me, si sta rivelando un grande insegnamento. Il mio impegno lavorativo tra gli ulivi de La Pace di Monte Canneto non è stato messo al servizio di una azienda agricola malandata bensì di una meraviglia condivisa con Antonietta, mia moglie, assieme a quegli amici attempati subito battezzati come La Compagnia dei Messi Male con i quali ho riscoperto un vigneto di Sangiovese prontamente nomato Ronco del Suffragio come a volere sottolineare la metaforica via d’uscita da una strada senza sbocco. Ma ho capito quanto ci sia di sbagliato nell’avere sostenuto che se non eri adatto allo studio dovevi coltivare la terra. Un affermazione totalmente da ribaltare in “Se non sei adatto a coltivare la terra devi dedicarti allo studio”.
La mia è una avventura umana cominciata nel 2011, quando sono andato alla scoperta di un terreno incolto e semi abbandonato nell’Appennino Tosco Romagnolo nella valle del Lamone. Cercare un buen retiro lungo la Faentina disegnata dal corso del fiume, è come fare un viaggio fuori dal razionale; investe il dubbio e la conoscenza. L’intera valle evocava in me misteriose presenze:circolano strane leggende su spiriti maligni legate alle compagnie di ventura che nel 1300 transitavano nella valle passando per la pieve di Tho a Brisighella. Sono luoghi percorsi da spiriti liberi e complessi come il poeta Dino Campana definito scioccamente maudit; nonché segnati da dicerie e persecuzioni alle streghe. Al momento dell’acquisto “È una timpa” dissero alcuni miei conoscenti del sud, quasi a negare le loro origini vissute tra dirupi e strette forre della Lucania e molti miei compagni di pianura sorrisero sapendomi totalmente inesperto perciò essenzialmente matto per questo incauto acquisto.
Antonietta, più per amore che per convinzione decise di seguirmi in questa impresa, per noi titanica e inconsueta, cercando di dare un senso logico a quello che a prima vista sembrava il frutto di un pensiero illogico o nelle migliori delle ipotesi di un pensiero analogico. Si sa il raziocinio solitamente appartiene a un universo femminile da me osservato in lei come in uno specchio pronto a riflettere costantemente i miei nuovi comportamenti quotidiani fino a quando mi sono convinto che il mio agire non sempre corrispondeva all'orientamento logico del pensiero al femminile di mia moglie. Ma in fondo è stata lei che ha deciso di imbarcare me su questa avventura. Così la mia coscienza virile è risultata salva anche quando i miei pensieri si sono spesso soffermati, senza trovare risposta, sull’identità di genere per questo luogo, appena acquistato senza alcuna competenza, fosse appartenuto all’universo maschile o femminile.
Un luogo che non è un podere della fertile Romagna ma soltanto un terreno con un centenario uliveto e una vigna solatia; non è un posto di montagna né un luogo di villeggiatura da risiedere come in una seconda casa, non è un frutteto ad alta intensità produttiva come i pescheti romagnoli e che non può nemmeno ubbidire all’economia rurale perché non ci abito né devo campare con ciò che produce il terreno. Per noi poi non rappresenta un secondo lavoro e nemmeno una fuga dal patrimonio culturalmente garbato della città. Non è un orto e nemmeno un giardino allargato.
È un sogno da materializzare. Così abbiamo cominciato a riscoprire questo luogo, subitamente ribattezzato al femminile come La Pace di Monte Canneto per quel senso di tranquillità emanato dagli ulivi di questo posto e da una prospettiva chiusa allo sguardo da colline ben coltivate. Eccoci al dunque di una storia umana apparentemente senza senso e come la grande storia – che non ha un senso - la mia esperienza a Monte Canneto al massimo si può raccontare attraverso un racconto di cronaca minore cercando di dare una linearità al ritmo delle pulsioni, veri motori della produzione umana.
Enrico Gurioli
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A cura di Enrico Gurioli
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